Diversi approcci nelle tecniche corporee

Metterci alla prova con l’apprendimento di una tecnica corporea comporta ogni volta una rimessa in discussione delle nostre sicurezze e una revisione dei principi su cui, più o meno consciamente, fondavamo le competenze acquisite. Un po’ come quando abbiamo imparato a camminare: non ricordiamo la nostra esperienza, anche se spesso possiamo ripercorrerla istintivamente vedendola nelle nuove generazioni.

Ad esempio, nell’imparare a praticare lo Shiatsu, specialmente nella versione in cui si opera a terra, sul futon, anche il solo fatto di osservare il mondo dalla posizione carponi e imparare a muoversi in modo efficace e aggraziato per eseguire i movimenti propri della tecnica produce nel praticante notevoli e positivi cambiamenti, sia nelle capacità di movimento e sensibilità, che in quelle cognitive e comunicative.

Con queste competenze acquisite si raggiunge nel trattamento l’obbiettivo del riequilibrio energetico, tramite l’appoggio sul corpo del ricevente, grazie alla percezione di una disarmonia nella risposta sensibile della persona. Si realizza così uno degli assunti fondamentali della MTC: individuare il vuoto e il pieno, tonificare il vuoto e disperdere il pieno, in modo che l’energia riprenda a fluire armoniosamente. In questo senso si dice che la “diagnosi” è trattamento e il trattamento è “diagnosi”.

Ci sono varie strategie per ottenere questo scopo: nella scuola di Ohashi e Masunaga si tratta di individuare punti, aree, aspetti deboli, bisognosi di attenzione, calore, sostegno (vuoto, Kyo) con “Mano madre”, che rimane relativamente più ferma, con appoggio più ampio, mentre la “Mano messaggera” esercita un contatto relativamente più dinamico, leggero, superficiale, con mobilizzazioni articolari e stiramenti muscolari sulla parte più reattiva (pieno, Jitsu). Un effetto, dunque, di mediazione tra parti e punti diversi del corpo del ricevente che produce riequilibrio energetico.

Questa relazione è basata principalmente sul movimento, o NON movimento: ascolto, osservazione, appoggio, mentre la parte verbale, pur non essendo censurata, viene solitamente riservata a momenti iniziali o finali del trattamento, per lasciare che entrambi i partecipanti assecondino ognuno la propria meditazione. Lo stesso principio si applica nello Zen-Stretching®, pratica individuale per accompagnare il riequilibrio operato nei trattamenti: stabiliti con un monitoraggio di base gli esercizi che evidenziano “Jitsu” (resistenza maggiore) e “Kyo” (minore resistenza), si procede poi con specifici esercizi di tonificazione, caratterizzati da esecuzione più lenta e statica, che richiama energia nelle catene muscolari lungo il percorso dei meridiani “scarichi”, per poi eseguire un esercizio disperdente relativo alle catene muscolari più rigide e i rispettivi meridiani in eccesso.

Nel Jin Shin Do® (“La via dello spirito compassionevole”) l’approccio è apparentemente opposto: si parte dal contatto con la digitopressione nei punti “locali” (jitsu), per mediare toccando con l’altra mano punti “distali”, individuati sul percorso di meridiani in relazione funzionale con il punto locale. Cambia la relazione fisica tra praticante e ricevente (sdraiato supino su un lettino) e si aggiunge un accompagnamento verbale della sessione che può assecondare/facilitare eventuali rilasci emotivi.

La finalità rimane in ogni caso la stessa: interagire con le manifestazioni energetiche a tutti i livelli della persona per focalizzare, lasciar emergere e sciogliere i blocchi che interrompono o rallentano il fluire armonioso della circolazione energetica.

Silvia Marchesa Rossi