Le parole “magiche” nello Zen-Stretching®

di Silvia Marchesa Rossi.

Quando cominciamo a imparare una pratica di allenamento, che si tratti di una tecnica corporea (danza, arte marziale o pratica di lunga vita) o di un’abilità manuale, la nostra attenzione viene assorbita soprattutto dai singoli movimenti, dalle parti del corpo coinvolte, dai particolari di ogni singola azione: questa attenzione frammentata spesso ci mette in difficoltà, costringendoci a memorizzare sequenze, a volte anche molto articolate e complesse. La paziente ripetizione di una sequenza consente successivamente di rendere automatica l’esecuzione di sempre più numerosi esercizi e, a un “certo punto”, diverso per ognuno, il nostro cervello dimostra la sua straordinaria capacità di sintetizzare, memorizzare, interpretare… Ed ecco che, da una somma spezzettata di movimenti apparentemente indipendenti tra loro, riusciamo a “scivolare” in una successione progressiva di forme, significative nel loro insieme ma comprensive del significato delle singole parti.

Anche in una pratica relativamente meno complessa quanto a sequenze da riprodurre, come lo Zen-Stretching, verifichiamo la stessa gradualità progressiva di attenzione/comprensione. Il collegamento tra un movimento e il percorso dell’energia specifica stimolata nelle catene muscolari coinvolte non è così scontato, soprattutto per chi si accosta alla pratica senza conoscere i meridiani.

I praticanti di Shiatsu, Digitopressione Jin Shin Do, Agopuntura e simili sono abituati a riconoscere nel corpo proprio e altrui i segnali fisici che denunciano la presenza, il movimento e le condizioni di queste linee di forza, ma non tutti arrivano allo Zen-Stretching partendo da queste basi di conoscenza.

Il paradosso è che nello Zen-Stretching scopriamo i meridiani proprio imparando a eseguire i movimenti che li sollecitano: avvertire le linee di forza con percezioni quali senso di calore, corrente, formicolio, tensione, resistenza, persino dolore è un’esperienza che comincia ben presto praticando, e comunque viene man mano educata, affinata per ogni praticante. È curioso osservare come in un gruppo che comincia a praticare insieme, alla richiesta di toccare il proprio corpo sulle parti che hanno maggiormente sentito l’azione di un esercizio, spesso i partecipanti toccano punti del corpo diversi uno dall’altro; spesso questi punti risultano essere collocati grossomodo lungo il percorso del meridiano stimolato, salvo eccezioni dovute, di solito, a reazioni individuali legate a infiammazioni localizzate, che fanno apparire come se “tutti i meridiani passassero di lì”. Ognuno individua però punti diversi, almeno nelle fasi iniziali dell’allenamento.

La sensibilità si affina in seguito, quando alla stessa richiesta i partecipanti cominciano a rispondere in modi più uniformi, indicando la percezione su un tratto più esteso del percorso energetico, in varie parti del corpo.

A quel punto la correttezza dell’esecuzione non viene più valutata secondo l’esatta postura, ma per l’evidenziarsi della percezione ampia del meridiano stimolato, oltre che dagli effetti conseguiti in altri aspetti legati anche al vissuto psico-emotivo.

Uno dei modi collaterali per aiutare la comprensione del senso di un esercizio è l’associazione dell’esercizio stesso con le cosiddette “parole chiave”. Ogni meridiano ha infatti diverse corrispondenze su altri piani, a indicarne la funzione nell’economia generale della circolazione energetica nella vita della persona. Ad esempio, ai meridiani di Stomaco e Milza sono associati, oltre alla fisiologia degli organi collegati, funzioni come la DIGESTIONE, il COLORE GIALLO/MARRONE, e poi FINE ESTATE, SENSO DEL GUSTO, BOCCA, TESSUTO CONNETTIVO, SALIVA, PREOCCUPAZIONE/COMPASSIONE, VOCE CANTANTE, DOLCE, UMIDO, NUTRIRE/ALLEVARE/ABBRACCIARE, OSSESSIONE/ASSUEFAZIONE/DIPENDENZA, ATTIVITÀ MENTALE/MEMORIA, MATURITÀ MENTALE, EMPATIA… e altro ancora.

Le parole richiamano alla mente come l’energia che percorre un meridiano sia alla base di processi vitali che vanno ben oltre la semplice funzione fisiologica o la semplice collocazione fisica.

L’esperienza ha indicato come molto utile la seguente meditazione: ogni praticante sceglie tra le “parole magiche” legate alla coppia di meridiani stimolati da un esercizio la parola che più sente affine in quel momento e la pronuncia mentre esegue l’esercizio. Questo si ripete per ognuno degli esercizi della serie di base (quella che si esegue con funzione principale di monitoraggio). L’accorgimento sembra distogliere l’attenzione eccessiva che a volte viene portata verso l’esecuzione fisica del movimento, e che rischia di sottolineare troppo il “come faccio” rispetto al “come mi sento nel farlo” (che è il criterio più utile per individuare la condizione energetica del momento). Un altro vantaggio sta nel ricordare immediatamente a quale aspetto della mia vita conviene prestare attenzione quando, eseguendo la serie di monitoraggio, individuo gli aspetti sovraccarichi (Jitsu – esercizio difficile) e quelli carenti (Kyo – esercizio comodo). L’attenzione rivolta a questi aspetti mi porterà, dal lato tipicamente ginnico, a selezionare i correttivi più opportuni per bilanciare gli opposti, ma aiuterà anche a riesaminare i miei momenti di vita sotto l’aspetto di comportamenti, preferenze, emozioni, abitudini, per suggerire gli opportuni ritocchi allo stile di vita. La finalità è sempre la stessa: raggiungere e mantenere benessere ed efficacia coincide con la distribuzione equilibrata dell’energia tra le funzioni vitali fondamentali, che comprendono corpo, mente e spirito, individuale e sociale.

Diventa allora interessante anche la ricerca e la scoperta di parole chiave adatte a rappresentare un’ampia gamma di aspetti vitali, rappresentati metaforicamente da ogni meridiano, e la discussione di gruppo serve ad approfondire anche il significato teorico e filosofico dell’importanza dell’energia multiforme nella nostra vita.

È un’astrazione questa, che sembra esulare dalla funzione dell’allenamento fisico, ma è proprio questa riflessione sulla generalità dell’energia che ha consentito di estendere il concetto di allenamento oltre la funzione propriamente fisica, allargandosi anche a un ambito più vasto. Ci si allena ripetendo fisicamente gli esercizi, ma ci si può allenare anche conoscendo esattamente il percorso dei meridiani e la direzione in cui si muove l’energia lungo i percorsi: un modo di sperimentare è quello di sfiorare i percorsi nella direzione riconosciuta come corretta per tonificare, e di sfiorare nella direzione opposta i percorsi per disperdere l’energia.

Un’altra applicazione già messa alla prova con risultati interessanti è quella sperimentata con persone impossibilitate a muoversi (anche temporaneamente), che eseguono gli esercizi (sia di monitoraggio sia correttivi) stando sdraiate e semplicemente visualizzando se stesse mentre eseguono gli esercizi. Questo è facile e possibile per chi è già abituato a eseguire materialmente gli esercizi ma è temporaneamente impossibilitato a farlo. È meno semplice per chi, allettato, viene invitato a osservare un Facilitatore che esegue gli esercizi e a visualizzarsi nell’eseguirli, fornendo poi una sua impressione su “come si sente”. L’esperienza ha insegnato che, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, la differenza tra un esercizio e l’altro non solo esiste ma è anche molto sentita, tanto da applicare correttivi quali lo sfioramento differenziato dei meridiani e l’esecuzione visualizzata di movimenti di tonificazione e dispersione. Gli ultimi lavori di ricerca delle Facilitatrici formate per insegnare lo Zen-Stretching tendono proprio a esplorare sperimentalmente queste ipotesi e i risultati incoraggianti inducono all’ottimismo.

In un documento sulle ricerche in neuropsicologia ormai datato troviamo, ad esempio, quanto segue:

“Lo scopo di questo progetto è stato quello di determinare l’aumento di forza indotto dall’allenamento mentale (senza eseguire esercizi fisici) nell’abduttore del mignolo e nei muscoli flessori del gomito, che sono frequentemente utilizzati nella vita quotidiana, e di quantificare i segnali corticali che mediano le contrazioni volontarie massime (MVC) dei due gruppi muscolari. Trenta giovani volontari sani hanno partecipato allo studio. Il primo gruppo (N = 8) è stato addestrato a eseguire ‘contrazioni mentali’ di abduzione del mignolo (ABD); il secondo gruppo (N = 8) ha eseguito contrazioni mentali di flessione del gomito (ELB); il terzo gruppo (N = 8) non è stato addestrato ma ha partecipato a tutte le misurazioni ed è servito come gruppo di controllo. Infine, sei volontari hanno eseguito un allenamento fisico di abduzioni massimali delle dita. L’allenamento è durato 12 settimane (15 minuti al giorno, 5 giorni alla settimana). Al termine dell’allenamento, abbiamo riscontrato che il gruppo ABD aveva aumentato la forza di abduzione delle dita del 35% (P < 0,005) e il gruppo ELB aveva aumentato la forza di flessione del gomito del 13,5% (P < 0,001). Il gruppo di allenamento fisico ha aumentato la forza di abduzione delle dita del 53% (P < 0,01). Il gruppo di controllo non ha mostrato cambiamenti significativi nella forza né per l’abduzione delle dita né per la flessione del gomito. Il miglioramento della forza muscolare nei gruppi allenati è stato accompagnato da un aumento significativo del potenziale corticale derivato dall’elettroencefalogramma, una misura precedentemente dimostrata come direttamente correlata al controllo delle contrazioni muscolari volontarie. Concludiamo che l’allenamento mentale utilizzato in questo studio migliora il segnale di uscita corticale, che spinge i muscoli a un livello di attivazione più elevato e aumenta la forza.” (Vinoth K. Ranganathan e al., “From mental power to muscle power—gaining strength by using the mind”, http://pds15.egloos.com/pds/200910/18/78/Gaining_strength.pdf